La Festa di San Martino a Leffe
Leffe in festa, per il co-patrono San Martino. Sin dal mattino le vie del centro attorno a Piazza Libertà saranno animate dalle bancarelle dell’annuale Fiera. Nella chiesa dell’Oratorio, dedicato al Santo, è esposto il simulacro con un enorme scarpone, da qualche hanno realizzato in plexigas.
Una tradizione secolare, per raccogliere le letterine dei bambini. A Leffe infatti Santa Lucia è meno gettonata, a favore di San Martino. Un’originalità che fa il paio con quella di Casnigo, dove invece, la sera del 5 gennaio, arrivano i Re Magi.
Il culto di San Martino è decisamente uno dei più antichi e diffusi in tutta la nostra provincia.
Già prima dell’anno mille risultano dai documenti le chiese di San Martino a Bergamo (ora “della Pigrizia”), a Calepio, a Sovere e Zanica. A seguire, la pieve di Nembro, le parrocchiali di Torre Boldone, Alzano, Leffe, Gorno e Gandellino, in Val Seriana; ma anche Piazza e Lenna, in Val Brembana, le parrocchiali di Sarnico, Adrara, Entratico, Carvico, Ciserano… e non dimentichiamo l’intera Valle a lui dedicata, San Martino appunto, oggi divisa tra le province di Bergamo e Lecco ma un tempo interamente bergamasca (curiosa la storia di Torre de’ Busi, tornata in provincia di Bergamo a seguito di un referendum, proprio l’anno scorso!).
Ma chi è San Martino?
La storia di San Martino è anche questa, come quella di Sant’Alessandro, la storia di un soldato, questa volta ungherese. Anche qui, la sua vita e sopratutto il famosissimo aneddoto che lo consegna alla santità, sono avvolti dalla più fitta leggenda. Si racconta che un giorno il soldato Martino incontrò sulla sua strada un mendicante infreddolito, e per offrirgli un po’ di riparò gli donò metà del suo mantello.
La Leggenda di San Martino
Una prima tradizione vuole che il Signore, per ricompensarlo, fece uscire tra le nubi un tiepido sole che riscaldò l’aria. Da qui la famosa «estate di San Martino», quelle giornate dal clima mite che spesso caratterizzano l’inizio del mese. Una seconda tradizione vuole che invece, durante la notte, gli sia apparso Gesù in sogno, che vestendo la metà del suo mantello, lo presentava agli angeli dicendo «Ecco qui Martino, il soldato romano che non è battezzato, egli mi ha vestito».
Si dice che Martino, risvegliatosi dal sogno, ritrovò il suo mantello intero, si fece battezzare e iniziò una vita di predicazione, fino a diventare vescovo di Tours. Non molti anni più tardi, il mantello miracoloso di Martino entra a far parte della collezione di reliquie dei re Merovingi, la dinastia responsabile della cristianizzazione dei Franchi, che nel V secolo erano l’ultimo popolo ancora pagano dell’Europa occidentale. La cappa era conservata in una “cappella” e conservata da “cappellani”. Questo termine verrà poi esteso a qualsiasi piccolo luogo di culto…..
Nella Bergamasca, come in tutta Europa, la popolarità di San Martino è straordinaria… ma perchè?
La risposta è ancora una volta di carattere storico: siamo nel 774 d.C. e Carlo Magno, il leggendario re dei Franchi, prima, e imperatore del Sacro Romano Impero poi, regala al monastero di San Martino di Tours una gran quantità di terre e rendite in tutta Italia. Nella provincia bergamasca queste proprietà sono vaste e si concentrano soprattutto nella zona del Sebino. Il periodo dell’anno in cui questo santo viene celebrato, l’11 di Novembre, giorno dei suoi funerali, ben si prestava inoltre per sovrascrivere il periodo finale dei festeggiamenti del capodanno celtico (vi ricordate il post sulle tradizioni di Halloween e del giorno dei morti? Se ve lo siete persi, lo ritrovate nell’unità Tradizioni bergamasche), dando una motivazione solennemente cristiana alle grandi veglie e baldorie che tradizionalmente si celebravano in quel periodo (ma per confermare la complessità della nascita e conservazione di queste tradizioni, pensate anche che cade nello stesso periodo delle feste greche in onore del dio Dioniso, dio dell’ebrezza in cui si assaggiava il primo mosto).
Come in un vero e proprio capodanno, a San Martino cominciava l’attività dei tribunali e delle scuole, si riunivano le assemblee rurali (i mandriani erano tornati dal pascolo) e si tenevano le eventuali elezioni, o si prendevano le decisioni per l’anno successivo. Fin da epoca antichissima, il giorno di San Martino era quello in cui si dava il via ai contratti rurali o di affitto delle case, e infatti i nostri antenati usavano l’espressione “Ü San Martì” per indicare il trasloco, o “Fà San Martì” il traslocare, e sgomberare la casa per il prossimo affittuario. Certo, usavano anche dire “San Martì l’ ghe n’ dà ai sciòr, e l’ ghe n’ tö ai poarì” (dà ai ricchi e toglie ai poveri): per forza, se non avevi una casa di proprietà ma vivevi, al contrario, nel cascinale del padrone, l’11 di novembre poteva sembrare uno di quei giorni non troppo favorevoli…..
E quella che noi oggi, in italiano, chiamiamo l’Estate di San martino, era per i nostri avi la “stagiunina de San Martì” (e la düra trì dé e ü falì, dura tre giorni e poco di più). Un santo, insomma, così conosciuto e così venerato da essere letteralmente sulla bocca di tutti e diciamolo, un po’ strapazzato!
Proverbi Bergamaschi
A san Martì l’è vèc töt oI vi – A san Martino è vecchio ogni vino
A san Martì, ol móst l’è deentàt vì – A san Martino il mosto è diventato vino.
Le botti dovevano essere pronte, vuote e pulite, per accogliere il nuovo mosto, quindi entro questo periodo dell’anno il vino vecchio andava bevuto… e il vino nuovo andava subito assaggiato!
A san Martì, l’ se spusa i poarì – A san Martino si sposano i poveri.
Terminati i lavori agricoli, era l’unico momento dell’anno in cui giravano un po’ di soldi derivati dalla vendita dei prodotti (sempre che ne restassero dopo il pagamento dell’affitto!)
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