Alle ore cinque della sera, del 26 maggio 1432 in Provincia di Bergamo avvenne che una donna di nome Giannetta oriunda del borgo di Caravaggio, di 32 anni d’età, figlia di un certo Pietro Vacchie sposa di Francesco Varoli, conosciuta da tutti per i suoi virtuosissimi costumi, la sua cristiana pietà, la sua vita sinceramente onesta, si trovava fuori dall’abitato lungo la strada verso Misano, ed era tutta presa dal pensiero di come avrebbe potuto portare a casa i fasci d’erba che lì era venuta a falciare per i suoi animali.
Quand’ecco vide venire dall’alto e sostare proprio vicino a lei, Giannetta, una Signora bellissima e ammirevole, di maestosa statura, di viso leggiadro, di veneranda apparenza e di bellezza indicibile e non mai immaginata, vestita di un abito azzurro e il capo coperto di un velo bianco. Colpita dall’aspetto così venerando della nobile Signora, stupefatta Giannetta esclamò: Maria Vergine! E la Signora subito a lei:Non temere, figlia, perché sono davvero io. Fermati e inginocchiati in preghiera. Giannetta ripose: Signora, adesso non ho tempo. I miei giumenti aspettano questa erba. Allora la beatissima Vergine le parlò di nuovo: Adesso fa quello che voglio da te… E così dicendo posò la mano sulla spalla di Giannetta e la fece stare in ginocchio. Riprese: Ascolta bene e tieni a mente, perché voglio che tu riferisca ovunque ti sarà possibile con la tua bocca o faccia dire questo…
E con le lacrime agli occhi, che secondo la testimonianza di Giannetta erano, e a lei parvero come oro luccicante, soggiunse: L’altissimo onnipotente mio Figlio intendeva annientare questa terra a causa dell’iniquità degli uomini, perché essi fanno ciò che è male ogni giorno di più, e cadono di peccato in peccato. Ma io per sette anni ho implorato dal mio Figlio misericordia per le loro colpe. Perciò voglio che tu dica a tutti e a ciascuno che digiunino a pane ed acqua ogni venerdì in onore del mio Figlio, e che, dopo il vespro, per devozione a me festeggino ogni sabato. Quella metà giornata devono dedicarla a me per riconoscenza per i molti e grandi favori ottenuti dal Figlio mio per la mia intercessione. La Vergine Signora diceva tutte quelle parole a mani aperte e come afflitta. Giannetta disse: La gente non crederà a me.
La clementissima Vergine rispose: Alzati, non temere. Tu riferisci quanto ti ho ordinato. Io confermerò le tue parole con segni così grandi che nessuno dubiterà che tu hai detto la verità. Detto questo, e fatto il segno di croce su Giannetta, scomparve ai suoi occhi. Tornata immediatamente a Caravaggio, Giannetta riferì tutto quanto aveva visto ed udito. Perciò molti – credendo a lei – cominciarono a visitare quel luogo, e vi trovarono una fonte mai veduta prima da nessuno. A quella fonte si recarono allora alcuni malati, e successivamente in numero sempre crescente, confidando nella potenza di Dio. E si diffuse la notizia che gli ammalati se ne tornavano liberati dalle infermità di cui soffrivano, per l’intercessione e i meriti della gloriosissima Vergine Madre di Dio e Signore nostro Gesù Cristo. A Lui, al Padre e allo Spirito Santo sia sempre lode e gloria per la salvezza dei fedeli. Amen.
Quando è stata scritta e da chi questa pagina che ci tramanda in modo tanto suggestivo e con la sobrietà di un Vangelo il racconto del dialogo tra la Comparsa e Giannetta la veggente, e ne raccoglie il messaggio, facendo risuonare l’eco di quell’esplosione di grazie che – come il fonte trovato dai primi pellegrini là dove si era posata la Vergine Maria – da allora fa risplendere questo luogo sacro? Non sappiamo. Sappiamo che per secoli la pergamena è stata esposta in chiesa, nella sagrestia maggiore e che il vescovo di Cremona Cesare Speciano, in visita al Santuario il 27 aprile 1599, l’ha fatta trascrivere come “documento ufficiale” dell’Apparizione stessa e di quanto avvenne in seguito, le guarigioni straordinarie. Dal 1932 la pergamena fu collocata nell’appartamento vescovile presso il Santuario, ma da qui è stata tolta, non risulta da chi né quando né perché.Non è purtroppo possibile oggi, sottoporre ad analisi paleografica questa carta per dedurne una datazione più sicura, anche se si può fare un esame interno dei contenuti e dello stile.
Per quanto qualificata “antica” dagli storici non può essere considerata coeva all’evento. A quando dunque far risalire questo testo? L’unica cosa che si può affermare con certezza è: a prima del 27 aprile 1599, giorno della visita pastorale del vescovo Speciano. A nessuno sfugge però il valore sostanziale di questa “memoria”: lo stile della narrazione; la concentrazione massima del testo sul dialogo tra Maria e la veggente e sui “segni” che caratterizzano l’Apparizione del 1432; le lacrime e il dolore della Madonna; il fonte sgorgato sul luogo della Comparsa, senza aggiunte o amplificazioni superflue di natura devozionistica. Il pianto della Madonna a Caravaggio, come anche il messaggio sul quale si deve invece meditare a lungo, non è quasi mai stato sottolineato. Eppure Giannetta aveva colto, impressionata, quelle lacrime e quell’afflizione della Madre di Cristo: la Madonna parla con le lacrime agli occhi. E’ vero che le sembrano oro luccicante, ma è perché non possono non colpirla.
A mani aperte e come afflitta la Vergine confida la propria pena e nello stesso tempo la propria compassione interceditrice a Giannetta. Il dolore della Vergine è il dolore del suo Figlio, provocato fino alla minaccia di castigo per i peccati degli uomini come nel Vangelo: “… se non farete penitenza, perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13, 3.5). E c’era motivo, se pensiamo a quegli anni di storia travagliata per la Chiesa e alle violenze del tempo perpetrate nella stessa terra di Caravaggio. Per la situazione politica nel territorio di Gera d’Adda va ricordato che fin dall’inizio del 1431 si erano riaccese le ostilità tra la repubblica veneta e il ducato di Milano. Caravaggio ne costituirà come uno snodo cruciale per non pochi anni durante tutto il secolo XV. Tra il 1432 e il 1441, tra il 1448 e il 1453 Caravaggio va e torna sotto il dominio di Milano e Venezia, e viene fatta teatro di battaglie, tregue, negoziazioni di “capitoli” dall’una e dall’altra parte che permettano ai suoi abitanti di sopravvivere. La pace, le paci, erano precarie. La Gera d’Adda resterà con Milano in relativa tranquillità fino al 1499. Poi per altri dieci anni circa ritornerà sotto Venezia. “Nostra Signora del fonte” viene oggi denominato il Santuario di Caravaggio. Per molti secoli invece il luogo e la chiesa dell’Apparizione erano indicati come “Santa Maria alla fontana”.
E questo modo di scrivere aveva una ragione precisa. Il prato Mazzolengo era parte di una vasta campagna che circondava Caravaggio e non si trovava certo in un luogo “incolto arido e selvatico… sapendo certissimo che qui non v’era né fontana, né altra sorgiva d’acqua”, come comincia a scrivere nell’Historia del 1599 Paolo Morigi, storico dell’epoca. La smentita viene dalla relazione dei rappresentanti di Caravaggio recepita nelle “lettere patenti” di Antonio Aleardi, vicario generale del vescovo Venturino: la Madonna appare in località chiamata Mazzolengo dove da sempre c’era e c’è tuttora una fontana; appare proprio “nei pressi” (prope fontem) di essa così che il luogo risulta essere ben individuato, a distanza di alcune decine di passi. Gli abitanti di Caravaggio sapevano che sulla strada che porta a Misano nella campagna “al Mazzolengo” si trova una grande sorgiva ben identificata e che quei terreni, come molti altri in zona, sono ricchi di sorgive. Giannetta falcia la sua erba su quei terreni ma dove la Madonna in quel giorno le appare non c’è né si vede nessuna sorgiva.
Per questo alla gente che accorre viene dato di trovare “una fonte mai vista prima”. E solo perché chi si bagna in quell’acqua viene risanato dai propri mali quella sorgiva diverrà “il sacro fonte”. E solo perché il leggendario incredulo che vi getta il legno secco nella speranza che in qualche modo venga la prova certa o la smentita dell’asserita Apparizione (come Tommaso apostolo: “… se non vedrò… se non toccherò con le mie mani… non crederò”) lo vede trasformato in virgulto fiorito, quella fonte gli si certificherà come “la fontana dei miracoli”. Ma come si farà a indicare, a chi corre a vedere, dov’è apparsa la Madonna? Si dirà: “alla fontana”. Noi però dobbiamo precisare che il volgare quattrocentesco riportato anche nei documenti ufficiali latini Santa Maria alla fontana va letto come esige che sia tradotto il latino di provenienza; e cioè, per farci sapere che la chiesa di Santa Maria si trova andando sulla via per Misano al prato Mazzolengo nei pressi (ad) di una sorgiva. Questa lettura sgombra senza alcuna forzatura, anzi sulla base sicura della configurazione dei luoghi, ogni pretesa o presunta contraddizione nelle narrazioni dell’evento del 26 maggio a proposito di … due fonti.
A suo modo la fontana dei miracoli rende presente, qui e ora il Vangelo. Lo avevano ben compreso fin dagli inizi gli antichi testimoni che “registravano” le guarigioni con fraseologia evangelica: “Adi soprascritto (10 d’agosto 1432). Stefano, figliuolo di Gabriello di Zenalij di Trevì (Treviglio), d’età d’anni quattro, mai haveva havuto l’uso dell’andare, si come testificò sua madre, ma subito che fu lavato nella Fontana caminò co’soli suoi piedi securamente senz’altrui sostegno”. Il segno dell’acqua accompagna la storia del popolo dell’antica e della nuova Alleanza e caratterizza molti Santuari dove la Madre di Gesù è apparsa. Non per nulla la presenza di Lei è stata “determinante” quando il Cristo compì il primo dei suoi segni cambiando l’acqua in vino. Per mezzo dell’acqua Egli ha pure operato guarigioni del corpo e dello spirito. Il peccato del mondo è lavato dall’acqua e dal sangue sgorgati dal suo Cuore trafitto e, per il dono dello Spirito, sono generati a vita nuova i rinati nell’acqua del battesimo.
Quando sui piazzali del Santuario si portano i malati e si fanno passare dal Sacro Fonte pregando per la loro guarigione, quando le folle accorrono a questo luogo in pellegrinaggio per attingere alle sorgenti della grazia non appena materiale; quando la devozione spinge il popolo dei fedeli a chiedere “qualunque cosa” a Gesù, interponendo l’intercessione della Madre (… “Non hanno più vino”!) con la fiducia che lo farà, si può dire che si condiscende a forme sentimentali e non razionali di fede e ci si rifugia appena in una preghiera di tipo consolatorio? Qui Gesù passa ancora in mezzo all’umanità, operando “con la potenza dello Spirito” nella sorgente di acqua viva, sempre vivo anche se misteriosamente presente sotto il segno eucaristico. E quando all’incontro della folla con Lui avvengono grazie di conversione dei cuori e di guarigione dalle infermità fisiche è pur sempre attraverso i segni e le mediazioni dell’incarnazione del Cristo, di nuovo e a continuazione dell'”anno di grazia del Signore” che viene offerta la possibilità di accostare e raggiungere, nel Signore Gesù, l’unico dono della grazia di Dio.
Il segno dell’acqua, tuttavia oltre che conferma della credibilità dell’attestazione di Giannetta, è l’espressione della potenza sanante della grazia di Dio, che opera per intercessione di Maria dopo la sua apparizione. “La gente non crederà a me”, disse Giannetta. Ma la clementissima Vergine rispose: “Alzati, non temere. Tu riferisci quanto ti ho ordinato; io confermerò le tue parole con segni così grandi che nessuno dubiterà che tu hai detto la verità”. … e fatto il segno della croce su Giannetta, scomparve ai suoi occhi”. Così riferisce ancora il testo dell’antico racconto. I “segni così grandi” che hanno confermato il messaggio: sono dunque la fonte mai veduta prima da nessuno; gli ammalati liberati dalle infermità di cui soffrivano.
IL SANTUARIO OGGI
Il Santuario di Caravaggio è luogo di preghiera, ma non solo. Accanto alle attività liturgiche sono presenti: un Centro d’accoglienza per i pellegrini e per gli ammalati, un Centro di consulenza familiare e un Centro di spiritualità. Queste attività sono alloggiate in alcuni fabbricati ristrutturati alla fine degli anni ottanta dagli architetti caravaggini Paolo e Salvatore Ziglioli. In questi edifici possiamo notare nell’auditorium le vetrate del pittore caravaggino Giorgio Versetti e nella Cappella del centro di spiritualità, che fu inaugurata da Papa Giovanni Paolo II durante il soggiorno avvenuto nel giugno del 1992, le opere dello scultore mozzanichese Mario Toffetti.
Santuario Santa Maria del Fonte – Caravaggio
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