Strassér – Straccivendolo in dialetto bergamasco
Chi ha alcune decine di “primavere” sulle spalle si ricorderà di certo quando arrivava in paese lo straccivendolo gridando “Strasséerr”.
Con ciò richiamava l’attenzione delle massaie che raccoglievano le poche cose che la misera economia domestica di allora scartava per vendergliele e ricavare qualche soldo.
Il richiamo dello “strasér” era generalmente arricchito da una filastrocca che potremmo paragonare ad un moderno “spot” pubblicitario.
Ecco come proseguiva:
“dòne ègnì.. ve cumpre stràss, òss, pèi de cünì, fèr rot, tübi de la stüa, piomb, carta strassa, fiàsch, butìglie, bussetì e scatolòcc.. gambe de fomne!”
(donne venite.. vi compro stracci, ossi, pelli di coniglio, ferro rotto, tubi della stufa, piombo, carta straccia, fiaschi, bottiglie, boccettini e scatolotti…gambe di donna!).
E la battuta sulle gambe delle donne, che non sono proprio rottame da straccivendolo, almeno fino a un certo numero di “chilometri” di anni, era il tocco finale che simpaticamente chiudeva il suo grido imbonitore, invogliando donne e ragazzi a portargli la loro merce.
Cose passate! Lo strasèr non grida più. Ora riempiamo solo grandi sacchi di rifiuti, differenziati o no, che vanno a ingigantire discariche più o meno controllate e ad alimentare inceneritori più o meno eco.
Giuliano Todeschini
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