Sulla base della altalenante situazione atmosferica che spesso crea “bombe d’acqua”, ho pensato di trattare ciò che, nel dialetto bergamasco, riguardi l’acqua.
Innanzitutto questo bene essenziale per la vita in bergamasco viene denominato per la maggior parte delle volte, allo stesso modo della lingua italiana, ma si scrive senza la “c”, cioè: “aqua”. In alcuni luoghi si dice anche “ègua” e anche “èigua”.
Quella che cade dal cielo viene chiama “aqua pioana”, quella benedetta che troviamo nell’acqua santiera in chiesa e che viene usata per i Sacramenti, viene denominata “aqua santa”, quella fredda “aqua fregia” quando è bollente “aqua sbroieta”.
Si dice “aqua tenzida” o “aqua trob ia” ad una specie di vino molto annacquato e debole di poco conto.
Tantissimi i detti con riferimento all’acqua: “Dàga aqua al mar” portare acqua al mare, una cosa assolutamente inutile riferita al dare qualche cosa o soldi a qualcheduno che è già benestante.
Quando piove a dirotto o con grande intensità si dice “al vè zò l’aqua a sège”, mentre avere preso una gran lavata si dice “es töt in d’ün aqua” affermazione che vale anche per quando si è fatto una gran sudata.
“Vo à spand l’aqua”, significa orinare.
Tra le tante locuzioni in forma di proverbi abbiamo:
“fa ü büs in del’aqua” (fare un buco nell’acqua) cioè una fatica inutile, cosi come “tirà sö l’aqua con d’öna segia sensa fond” (tirare su l’acqua dal pozzo con un secchio senza fondo) e ancora “mör ‘n d’ü cügià d’aqua”, cioè perdersi in poco, mentre “tirà l’aqua noma al sò mülì” vuol dire aver riguardo solo per il proprio interesse.
“L’aqua quieta la sfonda i pucc” (l’acqua cheta sfonda i ponti) dicesi di quei soggetti che pian piano senza fare strepito ma con costanza riescono a attenere ciò che vogliono anche di fronte a quelli che sembrano invincibili.
Quelli a cui piace il vino e non ne vogliono sapere di acqua, si giustificano affermando che “l’aqua la fà marsì i pai” cioè l’acqua fa marcire anche i pali dei moli, quindi meglio il vino!
Concludo con tre affermazioni di quelle lapidarie che identificano certi modi di comportarsi: “lassà ‘n dà l’aqua per ol sò vèrs” oppure “lassà pasà zò ol Sère” che significa lasciare che le cose camminino per il loro verso senza preoccuparsene troppo.
“Quando s’è stacc iscotàcc da l’aqua colda, as gà pura a’ de ch’ela fregia” (quando ci si è scottati con l’acqua calda si ha paura anche di quella fredda) che significa una certa diffidenza a seguito di esperienze poco felici. E allora ecco l’ultimo avvertimento:
“Bisogna ardàrsne de l’aqua, del vént e di chi che parla lént” (guardarsene dall’acqua, dal vento e da chi parla lento). Sarà vero?
Giuliano Todeschini