Dopo aver parlato della mano, vengono di conseguenza le dita. E proprio questo sarà l’oggetto della rubrica di questo mese. Nel dialetto bergamasco il dito viene detto “ol dìt” al plurale “i dìcc”.
La mano ne conta cinque e, ad ognuno di essi, viene attribuito un nome ed una funzione specifica.
Il pollice viene denominato: “ditù”, o “dìt gròss” ma anche “copapiöcc”, (dito grosso, ammazza pidocchi), poi viene l’indice chiamato “fregaöcc” (frega occhi) ma anche “ol dìt che fa ‘nsègne” (il dito che si usa per indicare). Il medio, dito più lungo, viene detto “mata lònga”, segue l’anulare: “spusalì”, perché porta la fede nuziale; a chiudere il piccolo di casa, il mignolo, che ha preso il nome di “marmèl” o “marmèlì”. Secondo una bella tradizione il nonno, tenendo sulle ginocchia il nipote, gli faceva conoscere una simpatica filastrocca che raggruppa i nomignoli delle dita:
“Marmelì, spusalì, spada lònga, fregaöcc e massapiöcc” (mignolino, sposalino, spada lunga, frega-occhi, ammazza-pidocchi).
Ma è altrettanto bella anche la storia del pozzo che si basa sulle dita della mano:
“Chèsto l’è burlàt in del pòss, chèsto l’ l’à tiràt fò, chèsto ‘l l’à sügàt zo, chèsto l’à fàcc la panàda e chèsto l’à mangiàda. (Questo è caduto nel pozzo, questo l’ha tirato fuori, questo l’ha asciugato, questo gli ha fatto il pancotto e questo l’ha mangiata).