A mör as’ fenès de tribülà
Per questo mese nel quale si ricordano i defunti, ho voluto raccogliere alcune delle innumerevoli locuzioni dialettali che riguardano questo argomento.
“A mör as’ fenès de tribülà” (chi muore cessa di tribolare) però viene anche ricordato che per la cosa non bisogna avere fretta… perché “a mör s’è sempèr a tèp” (c’è sempre tempo per morire), infatti “l’oltèm laùr dè fa l’è quèl de mör” (l’ultima cosa che si ha da fare è quella di morire).
Sull’ineluttabilità della morte si sentenziava:
“As’ sa quando s’ nas e mia quando s’ mör” (si sa quando si nasce, ma non si sa quando si muore).
“La mort no i la paga negü” (la morte non viene pagata da nessuno)
“la mort la gà fa dentòrt a negü” (la morte non fa torto a nessuno) e ancora
“No la arda in cera a nigü, no la gà arda gnè a zuègn gnè a écc, gnè a ré gnè a poarécc” (non guarda in faccia a nessuno, non guarda ne giovani ne vecchi, né ricchi ne poveretti).
L’animo umano, impotente di fronte alla fine del nostro vivere terreno, vuole trovare una giustificazione allora “ogni mort la öl la sò schüsa” (ogni morte vuole la sua scusa).
Di ogni morte si vuole trovare la causa, e si va ripetendo mille se per dire che si sarebbe potuto evitarla…
Sappiamo, da credenti, che solo la luce della fede può illuminare questa strada così buia.
Allora ecco che troviamo anche qualche locuzione piena di speranza. A proposito di una persona che aveva tanto sofferto in vita per malattia si diceva: “beato paradiso…nè….” come per dire ha sofferto tanto che, ora da morto, si godrà il paradiso.
“Sé ‘l và mia in paradìs lü, a ‘l và negü” (se non va in paradiso lui, non va nessuno), ma ricordiamoci, per ultimo, che “quando s’ mör as’ porta drè negòt” (quando si muore non ci si porta dietro niente) né per il paradiso né per qualsiasi altra destinazione!
Giuliano Todeschini