Accabadora al Teatro Sociale di Bergamo per Altri Percorsi

Dopo l’esordio con La Vita ferma di Lucia Calamaro, la stagione di Altri Percorsi entra nel vivo, giovedì 15 e venerdì 16 febbraio al Teatro Sociale (ore 21), con una significativa co-produzione del Teatro Donizetti: Accabadora, storia dell’amore tra madre e figlia tratto dall’omonimo romanzo (premio Campiello 2010) di Michela Murgia, adattato per il palcoscenico e l’attrice Monica Piseddu da Carlotta Corradi, con la regia di Veronica Cruciani. Scene e costumi di Barbara Bessi. Luci  Gianni Staropoli. Suono  Hurbert Westkemper. Video  Lorenzo Letizia. Produzione Compagnia Veronica Cruciani, Teatro Donizetti di Bergamo, CrAnPi, con il contributo diRegione Lazio. Biglietto intero 19 Euro, ridotto 14 Euro.

Venerdì 16 febbraio (ore 18, ingresso libero), alla Sala Conferenze di Casa Suardi (Piazza Vecchia), è previsto un incontro intorno ad Accabadora al quale parteciperanno, insieme a Maria Grazia Panigada, Direttore Artistico di Altri Percorsi, Veronica Cruciani e Carlotta Corradi.

Accabadora è uno dei più bei romanzi di Michela Murgia, nonché uno dei libri più letti in Italia negli ultimi anni: Il testo teatrale è stato scritto da Carlotta Corradi su richiesta della regista Veronica Cruciani che da subito ha pensato di farne un monologo partendo dal punto di vista di Maria, la figlia di Bonaria Urrai, l’accabadora di Soreni.

Nel romanzo Michela Murgia racconta una storia ambientata in un paesino immaginario della Sardegna, dove Maria, all’età di sei anni, viene data a fill’e anima a Bonaria Urrai, una sarta che vive sola e che all’occasione fa l’accabadora. La parola, di tradizione sarda, prende la radice dallo spagnolo acabar che significa finire, uccidere; Bonaria Urrai aiuta le persone in fin di vita a morire. Maria cresce nell’ammirazione di questa nuova madre, più colta e più attenta della precedente, fino al giorno in cui scopre la sua vera natura. È allora che fugge nel continente per cambiare vita e dimenticare il passato, ma pochi anni dopo torna sul letto di morte della Tzia. È a questo punto della storia che comincia il testo teatraleMaria è ormai una donna, o vorrebbe esserlo. Ma la permanenza sul letto di morte della Tzia mette in dubbio tutte le sue certezze.

Veronica Cruciani ha scelto il romanzo di Michela Murgia perché questa storia propone un modello alternativo di famiglia, dove la madre non è quella biologica ma adottiva, e quindi rappresenta un modello diverso di società; ha un aspetto politico, che è ciò che sempre è centrale nelle storie che la regista sceglie di mettere in scena. «Il dialogo tra Maria e Tzia Bonaria, sua madre, per me avviene solo nella testa della protagonista; è un dialogo tra sé e una parte di sé, tra una figlia e il suo genitore interiore. Per questo in scena ho posto una parete grigia che rappresenta uno spazio mentale, la scatola cranica di Maria da cui anche provengono dei suoni, suoni di tenebre notturne in cui Maria insonne cerca di superare il lutto della morte di questa madre di fatto», racconta Veronica Cruciani.

Carlotta Corradi tiene invece a precisare che «i due grandi temi, che oggi si chiamerebbero dell’eutanasia e della maternità di fatto, nel testo teatrale come nel romanzo, creano un ambito di riflessione, ma non sono mai centrali quanto l’amore e la crescita. Crescita sempre e inevitabilmente legata al rapporto con la propria madre, naturale, adottiva o acquisita che sia».

Michela Murgia, che per la prima volta ha deciso di appoggiare e accompagnare la nascita di uno spettacolo nato dal suo romanzo, spiega che «Carlotta Corradi ha fatto un lavoro di tessitura, utilizzando tutte parole mie, ma in un modo in cui io non le ho usate. C’è un’originalità anche autoriale in questo testo. Chiamarlo ‘riduzione’ non va bene: è un ampliamento. Una visione che io non ho assunto perché la mia attenzione era sulla vecchia, non sulla bambina. È un pezzo di Maria che mancava, sono felice che siano state altre donne a vederlo. Probabilmente dieci anni fa, quando ho scritto il romanzo, non ero in grado di vedere la Maria adulta. Ora è un piacere leggerla nelle parole, negli occhi, nel gesto artistico di altre professioniste. Pur non avendo scritto una parola, potrei controfirmarla, la sento molto mia, molto somigliante all’intenzione letteraria che c’era nel romanzo».

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