Vi pare che si possa parlare del niente? Eppure questo mese, proveremo a scovare proprio il significato in dialetto bergamasco del niente, che viene detto “negót” , “negóta” o “nént”.
Sembra che il termine derivi dal latino ne gutta che significa non una goccia, ma il suo uso non è legato al bere ma a tante e variegate accezioni. Se uno non ha nulla da dire o non vuol parlare, la sua risposta inappellabile è: “Gh’ò negót de dì”, mentre se non ha alcuna intenzione di cambiare idea “Gh’è negót de fa, l’è isse e basta!” (non c’è nulla da fare è così e basta!). Nel campo lavorativo “ìga oia dè fa negót” (non aver voglia di far niente) non è certo una bella prospettiva, peggio ancora se le cose “i và a finì ‘n negót” (vanno a finire in niente) oppure “nó l’vé negót in scarsèla” (non se ne ha alcun vantaggio). A volte poi succede poi “de laurà dól pèr negót” (lavorare per niente). Colui che si definisce: “al sént dè negót” (non sa di nulla) è un soggetto di poco conto che non ha idee proprie e che non si lascia coinvolgere nelle cose.
Curioso era poi un modo per istigare la curiosità dei bambini, promettere loro un dono, che consisteva in niente: “ü negotì d’or” (un niente d’oro) o ancora più prezioso “ü negótì d’or intorciàt ‘n d’öna fòia de osmanì” (un niente d’oro avvolto in una foglia di rosmarino). Se invece si vuole sminuire un malanno o un piccolo incidente, si dice “l’è ü màl dè negót” oppure “só fàcc negót” (è un male da niente, non mi sono fatto nulla). Per concludere anche sul termine “negót” il proverbio sentenzia una filosofia spiccia ed inequivocabile: ”Quando s’ mor a s’ porta dré negót” (quando si muore, non ci si porta dietro niente.)