L’avaréssia – Avarizia in Dialetto Bergamasco
L’avarizia è l’oggetto delle curiosità dialettali di questo puntata. “Avaréssia” o “avarissia” da qui “avarù” (avarone, avaraccio.)
L’uomo avaro viene anche definito:
“L’avaro l’è ‘l piö poarét de stó mónd” (l’avaro è il povero di questo mondo)
ancora più incisiva questa affermazione lapidaria:
“Grama la mà che la öl semper tö e mai dà” (grama la mano che vuole sempre togliere e mai dare).
Dietro l’avaro spesso c’è qualche d’uno che scialacqua il suo patrimonio, ecco allora questo detto:
“Deus in auditorium mé nò mè n’intende: mé pader al fa la roba e mé gh’la ende, me pader al fa i sólcc e mé ghe i spende” (Dio aiutami, io non me ne intendo: mia padre produce la roba ed io gli e la vendo, mio padre fa i soldi e io gli e li spendo).
La traduzione non rende appieno il significato di questa locuzione che utilizza l’incipit latino della preghiera del Rosario o del Vespro “Deus in auditorium me intende”, allora conosciuto da tutti, modificandolo per creare la rima come a dire: a padre avaro figliol prodigo;
chi per sé raduna, per altri sparpaglia. Sempre sulla stessa linea è il detto secondo il quale
“la roba l’è mia de chi gh’i la fa, ma de ch’i chi l’a god” (la roba non è di chi la fa, ma di chi la gode).
Significa che il desiderio dell’avaro di accumulare finisce per far ridere e godere i suoi eredi.
Come non ricordare, infine, che dell’avaro si diceva morisse con i pugni chiusi, senza voler lasciare niente a nessuno!, mentre è quanto mai opportuno tener presente che
“de là a ‘s porta dré negot” (andando all’altro mondo, non ci si porta dietro niente).
Articolo di Giulià Todeschì