Bergamo, terra di grandi lavoratori oggi schiacciata sotto il peso della continua recessione

Premessa

Le famiglie italiane in condizione di povertà assoluta sono quasi raddoppiate negli anni della crisi: +78,5%, con una incidenza sul totale passata dal 3,5% pre-recessione a quasi il 6% di oggi.

La crisi in corso non riguarda solo le aziende e il mercato di consumo, ma intacca anche la vita delle famiglie e mette in difficoltà anche tutta una serie di servizi ai quali il “welfare state” dava risposte che oggi appaiono insufficienti.

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La crisi economica, con la conseguente perdita di tanti posti di lavoro anche nella nostra Provincia di Bergamo, mette sempre più in evidenza gli elevati costi sociali che stanno subendo tante nostre famiglie, soprattutto quelle che già vivono situazioni di fragilità.

Certamente l’origine dei mali sta a monte dell’economia: la produzione, la distribuzione, l’uso delle risorse, le scelte politiche, la burocrazia, l’etica decisionale.

La ragione dell’aggravarsi della crisi occupazionale è sicuramente legata al processo di deindustrializzazione in corso da anni che ha coinvolto importanti realtà industriali del tessile, della meccanica e delle costruzioni col relativo indotto, contribuendo a mettere in sofferenza il territorio già in difficoltà per la carenza di adeguati sevizi e infrastrutture a reggere i cambiamenti economici.

Inoltre tutto ciò provoca incertezza e spinge anche al suicidio. Negli ultimi periodo il fenomeno dei suicidi è in costante aumento anche in Bergamasca. Esiste una marcata correlazione tra crisi nel mondo del lavoro e assunzione di condotte suicidare. La crisi sta cambiando le persone.

Non è qui il caso di parlarne; già in troppi ne parlano.

Nel passato

I bergamaschi sono, e sono sempre stati, famosi per la loro laboriosità, la loro propensione a svolgere i lavori più duri e pericolosi e per la loro passione e il loro amore per “darsi da fare” e per la loro efficienza.

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Molti dei nostri padri e dei nostri nonni ritenevano normale, dopo le otto ore in fabbrica o nell’impresa, farne altre quattro a ristrutturare la propria casa, a coltivare un piccolo appezzamento di terreno, a dare una mano nel negozio del vicino di casa.

Non raro era il caso in cui si utilizzava ogni minuto e tutto il fine settimana per costruirsi la propria casa o per ristrutturare quella dei propri fratelli o genitori. Raramente passava per la mente di mettersi in lista per la casa “Fanfani” o agevolazioni statali simili.

Questa esemplare laboriosità ha contribuito a fare della bergamasca una terra ricca di lavoro (si veda, per esempio, lo sviluppo dell’industria tessile, meccanica, siderurgica e artigianale) e una popolazione stimata da tutta Italia.

Mi ricordo, da quando ero giovane e giovanissimo, che la massima aspirazione di tutti, compreso diplomati e laureati, era quella di iniziare a lavorare in proprio, oppure di entrare in una fabbrica; per esempio, la Dalmine e l’Italcementi, mi ricordo, ricoprivano a Bergamo l’importanza che la Fiat aveva a Torino.

Oggi le cose sono cambiate. Il sistema paese ha smorzato l’entusiasmo, i lacci burocratici hanno estinto la passione e appiattito l’eccellenza. Anche la Bergamasca è ormai da alcuni anni sulla via della recessione che non accenna a diminuire.

Cosa dice l’OSCE?

Dall’indagine Ocse emerge una chiara indicazione al territorio bergamasco secondo la quale bisogna imparare a fare sistema, molto di più di quello che è stato fatto finora. Molti sono i soggetti che si portano un pezzo di responsabilità, il mondo imprenditoriale, il mondo associativo e anche le istituzioni hanno il loro ruolo. Fare sistema per gli enti locali vuol dire lavorare per mettere a tema tutta una serie di progetti e di servizi superando la logica del singolo Comune, puntando sulla intercomunalità e la sovracomunalità. La vecchia idea che ognuno può fare da solo, è un ostacolo allo sviluppo, è un impedimento alla competitività territoriale”. Ma, come sappiamo, è facile pontificare ma difficile concretizzare.

Uno sguardo alle cifre

I congressi, le indagini, i convegni, le promesse, le conferenze, ecc. parlano di “tunnel” ormai alle spalle, parlano di chiari segnali di ripresa, di inversione di tendenza; io, però, preferisco lasciar parlare le cifre, guardare la realtà in concreto e ognuno è poi sicuramente in grado di trarre le conclusioni da sè.

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Senza entrare in inutili dettagli e senza articolare i dati in tanti rivoli che poi alla fine confondono le idee, presento qui un semplice ma significativo “spaccato” della realtà di alcuni settori rappresentativi dai quali si vede chiaramente come vanno le cose.

Nel settore commercio (barometro rappresentativo della situazione globale) il volume d’affari non accenna assolutamente a riprendere. Anzi, nel primo semestre 2016 ha una tendenza verso un ulteriore peggioramento.

Anche nel settore servizi il volume d’affari è in pesante recessione.

La disoccupazione giovanile e il tasso di inattività (nella classe 15-24 anni) sono in lento, continuo e incessante aumento con tutte le ovvie conseguenze per i nostri giovani nel medio e lungo termine.

 

I Policy Highlights

Ha fatto discutere la pubblicazione sui “Policy Highlights – I punti chiave delle politiche”, un appuntamento periodico nel quale si traccia un bilancio della Bergamasca dal punto di vista economico e occupazionale formulato dall’ l’OSCE.

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In sostanza il Rapporto sosteneva che Bergamo sta progressivamente perdendo il posto che occupa tra i distretti europei più sviluppati per reddito e occupazione (livello TL3) e lo sta perdendo a causa, soprattutto, dei bassi livelli di istruzione della forza lavoro. Non tanto di istruzione specialistica quanto di istruzione generale (competenze di base, trasversali).

Per la verità (secondo il commento dell’Ufficio Studi Cgil Bergamo) il Rapporto restringe, poi, il giudizio negativo alla forza lavoro più anziana, che avrebbe abbandonato precocemente i percorsi di studio senza raggiungere né il diploma né la qualifica, mentre lo sguardo sule nuove generazioni “è un po’ più promettente”.

Rispetto ai Rapporti degli anni precedenti, quest’ultimo lascia più in secondo piano temi tradizionali come le criticità delle reti stradali o i livelli di governance istituzionale territoriale.

Fino a che punto sono condivisibili queste analisi? Fino a che punto l’enfasi sui livelli di istruzione formale è giustificata?

Può essere utile (commenta l’Ufficio Studi Cgil Bergamo) riflettere su quanto è avvenuto in alcune crisi aziendali di rilevanti dimensioni che hanno avuto pesanti ripercussioni sull’occupazione nella nostra provincia. Ebbene, in tutti questi casi i lavoratori con livelli di istruzione più elevati sono stati i primi ad essere ricollocati mentre, ancora a distanza di mesi se non di anni, i lavoratori – e soprattutto le lavoratrici – con bassi livelli di istruzione hanno fatto fatica a trovare un nuovo posto di lavoro e a riconvertirsi in nuove competenze.

L’agenzia ARIFL

In un suo studio sui tempi di reimpiego, l’agenzia ARIFL, di Regione Lombardia, documenta come nel periodo di tempo preso in considerazione (in piena crisi economica: dal 2010 al 2013) i laureati abbiano trovato un nuovo lavoro nella misura del 47,3% e i diplomati nella misura del 40,4%; le percentuali, poi, scendono notevolmente se si passa ai lavoratori provvisti della sola licenza di scuola media inferiore (ricollocati nella misura del 39,3%) o della scuola elementare (32,7%).

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Il possesso di più ampie conoscenze di base consente quindi di imparare rapidamente un nuovo lavoro e di uscire dallo stato di disoccupazione.

Da questo punto di vista la tesi del Rapporto è senz’altro condivisibile. Ma bisogna, però, tener conto di altri aspetti. Sempre più le nuove generazioni hanno livelli di scolarità più elevati: non siamo più nelle condizioni degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso nei quali Bergamo era collocata ai più bassi tassi di passaggio dalla scuola media a quella superiore; erano gli anni in cui la maggior parte dei ragazzi, appena finita la scuola media (e a volte anche prima) trovava subito un lavoro realizzando così desideri di indipendenza economica o di aiuto alla famiglia.

I livelli di scolarità più elevati sono ora indispensabili, assai più di prima, per l’accesso a molti lavori: si pensi all’edilizia, dove la capacità di utilizzare tecnologie e strumenti complessi, è diventata indispensabile; oppure al commercio: in molti negozi, oggi, commesse e commessi devono saper parlare le lingue straniere se vogliono conservare il posto di lavoro. E poi l’informatica che sempre più è una competenza di base che bisogna possedere.

L’istruzione è quindi ora più necessaria di prima e Bergamo è dotata di un’ampia rete di scuole di ogni ordine e grado, per non parlare dell’Università e di un’ampia offerta di corsi professionali.

In realtà, il “declino” di Bergamo, sottolineato dal Rapporto, non può essere spiegato con una sola chiave interpretativa, quella di una carenza di istruzione, che, se poteva essere vera negli anni ’70, ora non lo è più.

La formazione professionale

In Europa, dice il CEDEFOP (Centro Europeo per lo Sviluppo della Formazione Professionale – un’Agenzia dell’Unione Europea) in un suo rapporto, si prevede nei prossimi anni un forte sviluppo (non solo sostitutivo del turn-over) delle professioni tecniche e giuridiche ad elevato skill, cioè con competenze elevate.

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Se guardiamo, invece, il quadro locale vediamo che in Lombardia nelle prime dieci posizioni per numerosità tra gli avviamenti al lavoro troviamo: Manovale edile, Operai addetti ai servizi di igiene e pulizia, Facchini, addetti allo spostamento merci ed assimilati ecc. È evidente il divario con il quadro prospettato dall’Unione Europea.

La questione, quindi, non sta solo nell’offerta (i lavoratori con le loro competenze), ma anche nella domanda (le aziende con le loro necessità di personale).

Se molte aziende restano ancora ferme ai modelli degli anni ‘70 e ’80 sono inevitabilmente soggette alla concorrenza dei paesi emergenti e perdono inevitabilmente posizioni.

Forse (afferma l’Ufficio Studi Cgil Bergamo) più che il livello di istruzione sarebbe il caso di guardare al livello di internazionalizzazione dell’economia bergamasca: le aziende che lavorano per l’estero, che hanno un elevato tasso di innovazione tecnologica, hanno subito la crisi assai meno di altre e hanno spesso mantenuto i livelli occupazionali.

I dati sul mercato del lavoro confermano che nella nostra provincia non mancano aziende innovative che hanno assunto lavoratori con competenze professionali elevate.

La strada da imboccare è dunque questa, quella del riposizionamento su livelli più elevati di competitività basata sulla tecnologia, sull’innovazione, sulla ricerca. Se c’è bisogno di forza lavoro più qualificata gli strumenti ci sono, a partire dalla formazione continua.

 

Conclusioni

La situazione economica nella Bergamasca (lavoro, occupazione, prospettive) è tuttora in fase di pesante recessione. Convegni, conferenze, media e istituzioni affermano che ormai abbiamo il “tunnel “alle spalle, ma le cifre reali e concrete dimostrano il contrario.

Se non cambiamo rapidamente la politica economica reale, l’uso delle risorse, le scelte istituzionali, la burocrazia, l’etica decisionale, i lacci del sistema fiscale, ecc. in pochi anni passiamo da una provincia ricca di lavoro, esemplare come laboriosità, fra le più efficienti e ricche d’Italia, ad una terra senza futuro per noi e per i nostri figli.

 

Bergamo ha un grande cuore

Non ostante tutto ciò, il cuore dei Bergamaschi è grande e generoso.

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Sono tanti i bergamaschi che hanno fatto almeno una donazione nell’ultimo anno a enti che svolgono attività socialmente rilevanti e tantissimi coloro che si offrono al volontariato. Una generosità diffusa e consistente che fa onore a tutti noi alla nostra terra ai nostri lavoratori e alla nostra gente.

Fra i più generosi troviamo gli adulti dai 35 ai 64 anni e prevalentemente le donne.

Bibliografia

Congiuntura Economica – CCIAA di Bergamo – 2016.

Dal 49° Rapporto Situazione Sociale del Paese – CENSIS – 2015.

L’Economia Bergamasca – Bergamo & Co 2016 – a cura dell’Ufficio Studi CGIL BG.

La nostra Bergamasca – Bergamo & Co 2016 – a cura di Sauro Amboni.

Osservatorio sulle Imprese – CCIAA di Bergamo – 2016.

Rapporto Agenzia ARIFL – Regione Lombardia – 2016.

Rapporto CEDEFOP (Centro Europeo per lo Sviluppo della Formazione Professionale) – 2016.

Rapporto Policy Highlights – OSCE – 2016.

 

Sauro Amboni

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