Gli aggettivi, a volte dispregiativi, usati frequentemente nella nostra lingua dialettale bergamasca, sono l’oggetto della rubrica di questo mese.
Ad una donna o ragazza che sta un po’ sulle sue si dice “süfistega” (sofisticata) ma nel senso peggiorativo del termine. Con “pressiùsa” (preziosa) si intende, invece, una che si fa desiderare, mentre, se il soggetto è piuttosto riservato allora l’appellativo è “möffiéta”.
Intraducibile è invece il termine “lösa”, vale a dire una poco socievole un po’ priva di carattere a cui non va mai bene niente; in alternativa, a tale soggetto, si può dire anche “sömmia” (scimmia).
Nel variegato panorama dei nomignoli non possiamo certo dimenticare il classico “frétola” (frittella) affibbiato ai soggetti delicatucci, debolucci, insicuri. Per quei soggetti che mangiano poco e ai quali non piacciono i tanti piatti della cucina casereccia si dice “piaga”. Mentre “tutìna” e “fatüìna” sono riservati ai soggetti con poco senso pratico, privi di un minimo di personalità.
Per pareggiare i conti fra i sessi, ora andremo alla ricerca degli spregiativi a carico degli uomini.
“Asnù” vale a dire somaro di gran qualità, “martèr” o “martèròtt”, inteso come uno di poco comprendonio o che, da sempliciotto, si fa imbrogliare da tutti.
Quello che viene definito “tètù” è invece un ragazzotto cresciuto che, per la sua insicurezza, è ancora attaccato alla gonna della madre. Con “toto” ma anche “tambòr” si vuole indicare colui che non è dotato di molto acume “chè ‘l v’entra mìa sö” oppure “ al sa desmèscia mìa fò” (un imbranato che non si spiccia).